Sul numero di questo mese, Lo Straniero oltre a tre interventi sul Kosovo, ha pubblicato uno speciale sulla poesia albanese. Quattro poeti per tre generazioni. Qui si riporta il primo poeta scelto, il maestro Martin Camaj.
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Martin Camaj
C'è una vecchia città
-Palermo 1968 -
C'è una vecchia città sorta presto
sui meandri delle rocce
e non ha del mare il sentore.
Ha occhi stanchi, rivolti
in basso
bruciati dal sole disciolto
in acque salmastre come sangue.
C'è questa vecchia città
condita di palmizi nuovi al cielo
e un brusio di umane voci
senza eco, ai quattro venti, cordoglio
prolungato dacché è sorta
a oggi.
Elegia prima
Quando io sarò sfinito
dalle fatiche degli anni ripidi come rocce
non stare in pena o Taze, per me
steso su tavole di morte
agnello pronto al sacrificio.
Lascia che le vecchie piangano su me quel giorno
i loro morti, di vecchia data.
Un'ultima volontà, o donna:
quando morì mio padre, abbattemmo due buoi
per saziare gli affamati e le formiche dei campi
con briciole di pane.
Ma io morirò tra gente sempre
sazia,
per questo nei miei pranzi offrite
solo caffé amaro.
La notte del concerto
Nemmeno la neve è bianca in questo vespro.
La gente s'affretta a passi gravi
alle finestre di suono.
Nella sala di concerto persino i dittatori
conoscono la misura degli strumenti.
Gli uditori dalle orecchie fini han chiuso gli occhi
hanno carpito zampilli di tetti antichi,
incendî di città e legna secca.
Al tempo di turno gazzarramente il vento
ha inarcato il grano tenero verso la terra.
Nella sala di concerto persino il dirigente
a occhi chiusi non vede che suoni
accesi in un vortice di tenebra.
Due generazioni
Mio padre era
uomo di triste figura
albero d'ulivo senza foglie
ma con frutti neri ad ogni ramo.
Il suo verbo riecheggiava in noi
fragorosamente
quasi fosse l'ululato di un lupo
famelico solo tra rocce.
Mio fratello ebbe
a prendere il suo posto,
mio fratello scalzo
- vento baio all'orizzonte.
Soffia al fuoco in autunno
a pieni polmoni
e ogni scintilla gli dà un figlio maschio.
Racconto semplice
Vorrei volare sulle alpi coi piccioni
dissi a mio fratello il sanguigno.
"Non è cosa per noi!"
Non m'hai compreso, gli dissi, voglio darmi allo studio.
"Il latino – disse – non fa per noi:
impara prima la lingua del serpente!"
Mio fratello il sanguigno
a sei anni sapeva piantare al volo la lesina
in terra,
a dieci – tre spanne sulla testa il coltello
nel tronco novello.
Una volta scrutato
la mia mente ne convenne e disse:
"Siam due mani per una sola testa: spartiamoci i doveri:
a me la spada – a te la penna!"
a cura di A.C.