venerdì, aprile 18, 2008

Lo Straniero, speciale sulla poesia albanese


Sul numero di questo mese, Lo Straniero oltre a tre interventi sul Kosovo, ha pubblicato uno speciale sulla poesia albanese. Quattro poeti per tre generazioni. Qui si riporta il primo poeta scelto, il maestro Martin Camaj.
www.lostraniero.net







Martin Camaj


C'è una vecchia città

-Palermo 1968 -


C'è una vecchia città sorta presto

sui meandri delle rocce

e non ha del mare il sentore.

Ha occhi stanchi, rivolti

in basso

bruciati dal sole disciolto

in acque salmastre come sangue.


C'è questa vecchia città

condita di palmizi nuovi al cielo

e un brusio di umane voci

senza eco, ai quattro venti, cordoglio

prolungato dacché è sorta

a oggi.


Elegia prima


Quando io sarò sfinito

dalle fatiche degli anni ripidi come rocce

non stare in pena o Taze, per me

steso su tavole di morte

agnello pronto al sacrificio.

Lascia che le vecchie piangano su me quel giorno

i loro morti, di vecchia data.


Un'ultima volontà, o donna:

quando morì mio padre, abbattemmo due buoi

per saziare gli affamati e le formiche dei campi

con briciole di pane.

Ma io morirò tra gente sempre

sazia,

per questo nei miei pranzi offrite

solo caffé amaro.


La notte del concerto


Nemmeno la neve è bianca in questo vespro.

La gente s'affretta a passi gravi

alle finestre di suono.


Nella sala di concerto persino i dittatori

conoscono la misura degli strumenti.


Gli uditori dalle orecchie fini han chiuso gli occhi

hanno carpito zampilli di tetti antichi,

incendî di città e legna secca.

Al tempo di turno gazzarramente il vento

ha inarcato il grano tenero verso la terra.


Nella sala di concerto persino il dirigente

a occhi chiusi non vede che suoni

accesi in un vortice di tenebra.


Due generazioni


Mio padre era

uomo di triste figura

albero d'ulivo senza foglie

ma con frutti neri ad ogni ramo.


Il suo verbo riecheggiava in noi

fragorosamente

quasi fosse l'ululato di un lupo

famelico solo tra rocce.


Mio fratello ebbe

a prendere il suo posto,

mio fratello scalzo

- vento baio all'orizzonte.


Soffia al fuoco in autunno

a pieni polmoni

e ogni scintilla gli dà un figlio maschio.


Racconto semplice


Vorrei volare sulle alpi coi piccioni

dissi a mio fratello il sanguigno.

"Non è cosa per noi!"

Non m'hai compreso, gli dissi, voglio darmi allo studio.

"Il latino – disse – non fa per noi:

impara prima la lingua del serpente!"


Mio fratello il sanguigno

a sei anni sapeva piantare al volo la lesina

in terra,

a dieci – tre spanne sulla testa il coltello

nel tronco novello.


Una volta scrutato

la mia mente ne convenne e disse:

"Siam due mani per una sola testa: spartiamoci i doveri:

a me la spada – a te la penna!"


a cura di A.C.

lunedì, aprile 14, 2008

CAOS

Shpetim Kelmendi


CAOS


Nessuno può chiamare sbagliata la mia idea che questo mondo incasinato e cacofonico, è comunque abitato da gente normale. Un uomo che parla, vive, agisce e si muove secondo regole e leggi dialettiche, è senza dubbio normale. Detiene il suo inamovibile posto che serve per gli altri come punto di riferimento, e va sotto l’appellativo di “normalità classica”.

Ma non soffermiamoci su questo.

Si può credere che il poeta, lo scienziato, il truffatore professionista, l’incallito dongiovanni, l’assassino senza scrupoli, siano tutti normali?!

No? Io dico di sì. Normali a tutti gli effetti, a patto che questi non siano degli esemplari, ma rappresentino una colonia all’interno della quale vivono. Il guaio comincia allorquando tutte queste colonie si mischiano l’una con l’altra, come i liquidi con pesi specifici diversi, in uno di quei grandi cilindri di vetro. Allora sì, che si avranno serî problemi.

Commincia il rumore, la scompiglio, il dissidio.

Il poeta si vede circondato da una folla che nel migliore dei casi gli dà dell’anormale, o in genere dell’pazzo. Lo scienziato si ritrova sotto una pressione di tipo nuovo che gli suggerisce il ripudio del lavoro. Il truffatore abbandona il suo rango per diventare un politico. Il dongiovanni incallito risale affiatamente alcune scale per chiedere la mano di una vergine. E l’assassino senza scrupoli, arrampicatosi sul balcone di una ragione strappata con la forza, risale al rango della normalità generale, dove si procura le giuste maschere.

E in fine?!

Infine, qualcuno che osserva da un punto irragiungibile, sicuramente qualche marziano, urla orripilato:

- Dio, ma che cosa sta succedendo laggiù?

traslato da Kantor

La morte del re degli scacchi

A.C.

La morte del re degli scacchi



Desiderio vuol dire secondo l'origine latina: mancanza di una stella. Non c'è niente di più spirituale di questa sensazione di mancanza astrale, ma forse niente è più carnale di questa sofferenza. Poiché la sofferenza come tutte le cose cattive, riguarda le tenebre della carne, più che la luce dell'anima. Le stelle sono fonti di luce, sono generatori sparsi qua e là per l'universo: hanno una loro storia, nascono e muoiono. Nella mancanza di una stella, c'è anche il desiderio che nasca una nuova.

Dobbiamo la nostra esistenza ad una di queste, ed è una stella che noi mediterranei vediamo quasi tutti i giorni – quando non nel cielo, nel nostro modo di comportarci. Eppure ne sentiamo comunque la mancanza e per desiderio, lo cantiamo.

Io nella mia vita ho conosciuto uomini così saggi, che parevano simili a soli. Parabolando con loro, si capisce una cosa fondamentale nell'educazione di un uomo: nulla di ciò che ti accade può essere più grande della tua anima. Ebbene, se io vedessi morire il sole, la mia anima non lo reggerebbe.

Bobby Fischer è morto oggi. Il mio amico a Scutari, ha saputo la notizia giocando a scacchi. Buon per lui, vuol dire che è un vero scacchista.

Bobby Fischer era un astro degli scacchi e dell'intelligenza. Ha avuto ciò che deve guadagnarsi ogni uomo: una moglie; ha avuto una vita. Lui ha fatto sentire tanti scacchisti come dei giocatori di dama. Ma quale scacchista non ha rievocato il genio di Fischer nelle ore difficili delle sfide scacchistiche? Ha concluso presto la sua carriera. Qualcuno suggerisce che si potrebbe chiamare il Rimbaud degli scacchi. Di sicuro, per quanto maledetto, il genio di Fischer non fu evasivo come quello di Rimbaud. Non si addice ad uno scacchista.

Fischer ha avuto quanto di più vitale la vita può dare. Ha avuto dei nemici - forse degni di lui, ad ogni modo, avere dei nemici fa onore ad un uomo.

A chi l'ha amato rimane un amarezza: è morto in esilio. E quando i grandi americani muoiono in esilio, come volete che ci sentiamo noi altri – piccoli esiliati di piccoli paesi.

Morire in esilio: che cattivo infinito! Quando i grandi americani muoiono in esilio, si ha voglia di preparare la valigia. Al costo di farsi arrestare, si ha voglia di tornare a casa. Ma Bobby, non ce l'ha più quest'amarezza oramai. Niente più desiderio, niente più mancanza di stelle, per lui che fu una stella anche da vivo, e adesso prende solo il suo posto nel cielo. Nessuna croce per Bobby, adesso è sceso sul suo trono. Adesso è veramente il re degli scacchi.


apparso su "Lo Straniero", e su "Leitmotif"